CETTA
PETROLLO, Recitativi d’amore e altre
poesie (1977-2013), San Cesario di Lecce, 2013, pp. 146.
Un
libro che abbraccia un lungo arco di tempo, circa trentasei anni, eppure non
s’avverte nessuna frattura tra il prima e il dopo, il che significa che Cetta
Petrollo è nata subito attuale e completa, convincente e accesa da autentico
sentire. Certo, i temi si sono dilatati e taluni accorgimenti stilistici si
sono affinati, ma la sostanza del suo poetare è rimasta cristallina e densa
come al cominciamento. E’ come se le parole e le immagini di Recitativi d’amore nascessero dalle
mani, dagli occhi, dai capelli, da tutto il corpo di Cetta che però resta
“fuori” dalle grinfie dell’immobilità travasando discorsi che creano e
cancellano la tentazione d’esistere, come detta il titolo di un libro di
Cioran.
Se
volessimo racchiudere in mezza pagina la ricchezza di questo libro, come un
tempo facevano Enrico Falqui, Lorenzo Gigli e Giuseppe De Robertis, troveremmo
grosse difficoltà, non perché manchino gli argomenti, ma perché sono liquidi,
si muovono con i gesti e con i sospiri di Cetta, con le sue sensazioni, con i
movimenti delle sue mani. Dunque è una poesia-corpo che s’addensa in anima che
però assume le connotazioni di una piazza dove fanno ressa le danze delle
metafore sfaldando ogni punto fermo, rompendo i muri, sparpagliandone i pezzi, ribaltando
interamente i dati della realtà, riducendo a zero la scrittura, ridando vita e
forma inedita alla Parola, tentando di svelare i nessi tra essere e non essere,
tra luce e buio, tra realtà e sogno, tra trasgressione e assuefazione.
Per
Cetta non ci sono regole in cui entrare e farsi imbrigliare, sarebbe la morte
della poesia. La dimostrazione lampante di ciò la dà nei diciotto Sonetti che chiudono il libro, ma non serrano
le vibrazioni e i sussulti scaturiti dalle matasse limpide dei tempi poetici
scanditi sopra un immaginario palcoscenico che non chiude mai il sipario. La
poesia di Cetta Petrollo è, a un tempo, flusso della coscienza e disegno
geometrico di un teorema linguistico e psicologico che vuole ottenere la
reazione del lettore non disposto a mettersi in gioco: “Vedi come scrivo / con
calma / e vado e vengo dalla barra / e vado e vengo dal treno / e ogni volta
t’avverto / (ma faccio nicchia nel letto)”. Sono parecchie le composizioni in
cui tutto sembra slabbrarsi e andare per vie traverse, in cui il Caos
primordiale si pone al comando del viaggio illudendosi di andare lontano e non
s’accorge che si tratta di un viaggio intorno alla stanza per poter decifrare i
motivi degli sfaceli piovuti nel mondo.
La
presenza di Cetta nei versi è viva e non intende defilarsi per fare posto alle
astrazioni. Purtroppo le cose esistono e hanno una forma e un peso e dunque
bisogna farci i conti e fare i conti con la timidezza della Parola, con la sua
incapacità, spesso, di uscire dal conformismo dei vocabolari e assidersi al
centro della sostanza viva dell’essere. Le reiterazioni che qua e là affiorano
ci danno la dimostrazione di una lotta ingaggiata dalla poetessa per portare il
canto e la lirica dentro ragioni quietamente non subordinate a niente e a
nessuno. Da qui l’anarchia che si respira nelle pagine, anarchia semantica e
stilistica, umana e a tratti disumana, concreta e fuggevole, latitante e
amorosamente accolta nei sobbalzi delle intuizioni. Insomma, poesia che sa di
vita piena, dettata a Cetta da un dio umanissimo e chiaroveggente, anche
politicamente parlando.
Libri
così non ne vedo molti nel panorama della poesia italiana e perciò un plauso
alla libertà assoluta con cui la poetessa ha affrontato l’amore e la sua
sostanza, il dissesto dell’identità e dei valori e il loro mormorio mortuario
che in lei diventa lotta alla norma, al già visto e sentito, all’immobilismo
della politica e della letteratura.
DANTE
MAFFIA
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