Bistrot
A Genova ci sono i bistrot. Che magari esistono anche
altrove. A Genova li frequento perché lo iodio adesso mi toglie l’appetito come
me lo aggiungeva da ragazza e arrivo alla sera con poca fame ma molta voglia di
bere.
Meglio frequentarli in compagnia. E’ triste bere da sole.
Meglio andare in quelli dove ti porta un amico. Entrare con
lui che sa dove dirigersi. Che conosce l’oste. Che osserva le ragazze che
servono.
Pantaloni bassi. Civetteria da bambine.
Ma i bistrot e i carrugi si somigliano tutti.
Dunque in questa sera strana, pervasa dalla nostalgia e dal
ricordo, capita di girovagare a lungo cercando quel particolare bistrot dove si
andò con l'amore, all’epoca che eravamo fanciulle.
E di girovagare a lungo e a lungo mentre altra compagnia ti
segue osservando gli spigoli, gli angoli, gli incagli di questa città insieme
docile e difficile.
E di carrugio in carruggio si gira alla ricerca del bistrot.
Del mio bistrot. Di quello che appunto ero una fanciulla.
Ma questo non si può dire.
E nel giro finale fra marocchini emigrati, senegalesi,
famiglie in uscita serale, ad una svoltata incontriamo San Lorenzo. Con le
guglie ed i mostri. Sempre quelli di quando scrivevamo poesie dicembrine.
E incappiamo in un bistrot.
Il daquiri è più buono.
La compagnia lieve e attenta.
Ma non è il mio bistrot. Ombroso. Reticente. Affettuoso.
Avvolgente. Ispido e scontroso.
Il mio bistrot.
Cetta Petrollo
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