Ars medica
Ci arrivo senza pensarci troppo
guidando per strade lisce e senza traffico che attraversano la Camilluccia e
Vigna Stelluti, le zone dei ricchi anni Sessanta. Il parcheggio è semplice. La
facciata accogliente e azzurra, non sembra una clinica, sembra un albergo
elegante circondato dagli alberi.
Va tutto bene fin quando non
percorro il corridoio. Non ho carrozzine da spingere. Non devo cercare il posto
giusto dove fermarmi. Non devo porgere bottigliette d’acqua né cercare dov’è il
bagno più vicino. Non devo tenere sotto controllo la rumena che non si deprima
troppo, non si annoi, stia bene anche lei. Nessuno mi corrisponde con lo
sguardo. Nessuno mi si affida. Io non mi affido a nessuno. Sicché il corridoio
diventa lunghissimo e vuoto e torna a far male il centro dell’ombelico e non
sono le sette della mattina e non c’è il silenzio della casa.
“Che grande persona che era” dice
il dottore mentre mi visita e lo so che non ho niente, niente di grave almeno,
che sono tornata qui come in pellegrinaggio e non me lo potevo dire.
E sì che se n’è presi di urlacci
questo signore. Ma erano ininfluenti. I
medici sanno vedere.
Cetta Petrollo
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