Buona domenica, ridendo e scherzando siamo arrivati già al 10 febbraio, incredibile. Molto probabilmente questo forzato riposo mi ha tolto la sensazione del tempo che scorre … Non sono stato per niente bene, prendo comunque il lato positivo, qualche lettura in più me la sono fatta e questo non guasta. Oggi mi piace parlare di una delle tante passioni che mi legano al mondo dei libri: il libri che parlano di libri, biblioteche, librai. È una passione che coltivo da molto tempo, non solo leggo quei libri che già dal titolo affrontano l’argomento, ma annoto anche tutte le frasi che trovo durante le letture più disparate. Lo so, mi considerate pazzo e come non potrei esserlo visto che i giorni di tramontana sento ancora piangere Dino Campana rinchiuso nel manicomio di Castelpulci? Il lamento di Dino mi accompagna sempre e quando sono nello studio con la finestra aperta, vi confesso che è una dolce compagnia, fisicamente è sepolto nel cimitero di San Colombano, poco distante anche quello, ma l’anima vaga per la campagna circostante e ogni tanto si ferma per un caffè. Secondo me un libro va letto sempre con attenzione e mai solo la trama di cui narra, il libro nasconde sempre qualcosa, nuovi spunti, riflessioni, interessi; annotare e rileggere dovrebbe essere un dovere di ciascuno, lettori distratti e occasionali non fanno un bel servizio al libro. La lettura per essere vera deve essere costante, durare nel tempo, deve arrampicarsi come uno scalatore che affronta montagne invalicabili, principalmente non deve mai appagare la nostra anima. Curiosità e conoscenza. “Quali sono gli oggetti che nella vita le hanno tenuto maggiormente compagnia?” Carlo Bo rispondeva: “Non ricordi un giorno che mi sia passato senza libri”. Leggere un libro che parla, racconta di libri scomparsi e ritrovati, di manoscritti, di bozze ancora da corregge mi affascina, mi rapisce il profumo della carta, l’odore dell’inchiostro. Il libro va aperto e chiuso come la porta di casa, so deve entrare dentro, sfogliare pagina dopo pagine, tornare indietro, lasciare segnali del nostro passaggio, biglietti, segnalibri, annotazioni, senza mai piegarne l’angolino, anche il libri sono vivi, soffrono a questi affronti e la notte, a luci spente, si lamentano, piangono. Di seguito alcune brevi segnalazioni che mi sono annotato in questi anni: “O amatore di libri, un certo mio modo di amarli e di possederli ti sarà sempre sconosciuto; né io saprò mai renderlo chiaro. Niun di essi viveva intiero; ma in tutti era un punto sensibile che sapevo cercare e premere” (Gabriel D’Annunzio, “La vita di Cola di Rienzo”, 1968); “Mi pare di fiutare nell’aria una libreria, libraio compreso” (Robert Walser, “La passeggiata”, 1976); “Una lettera stampata, maiuscola o minuscola, tonda o corsiva, è un ritratto, un simbolo, è un’immagine: ci dice il colore della pelle, la pressione sanguigna, la capacità sessuale, il gradiente fantastico, l’abilità delle mani, l’acutezza ottica, l’intelligenza, l’astuzia …” (Leonardo Sinisgalli, “Furor mathematicus”, 1967); “Egli bagnava l’indice e il pollice con la lingua per sfogliare il suo libro, e a ogni tocco della sua saliva quelle pagine perdevano di vigore, aprirle voleva dire piegarle, offrirle alla severa azione dell’aria e della polvere, che avrebbero roso le sottili venature di cui la pergamena si increspava nello sforzo, avrebbero prodotto nuove muffe là dove la saliva aveva ammorbidito ma indebolito l’angolo del foglio” (Umberto Eco, “Il nome della rosa”, 1984); “ … perché mai ho saputo che questo prezioso libro esiste, se non devo possederlo né vederlo mai? Andrei a cercarlo nel cuore ardente dell’Africa, o tra i ghiacci del polo, se sapessi di trovarlo” (Anatole France, “Il Misfatto del professore Sylvestre Bonnard”, 1982); “Perché la pagina rientri nel libro e non si rovini ulteriormente, bisogna riportarla alla misura delle altre. E ci vorrà un rappezzo in pergamena bianca dove più non scorre il sangue delle parole, ma necessario per il giusto equilibrio col resto: così come il troncone di legno della gamba o del braccio mutilati” (Manara Velgimigli, “Uomini e scrittori del mio tempo”, 1965). Dedicato a tutti coloro che mantengono nel tempo il gusto della lettura e sono disposti a lasciarsi sorprendere e intrigare dall’energia di una pagina scritta.
Fabrizio Mugnaini
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