Pentoloni
Una volta c’erano i pentoloni. Pentole talmente grandi che nemmeno te lo immagini quanto erano grandi che quando le trovavi in un libro di favole non sembrava una favola ma una pentola vera perché ogni giorno a tavola l’acqua bolliva in una pentola così e passava un ‘ora prima che l’acqua bollisse e più la guardavi più non bolliva mai dentro l’alluminio tirato a lucido la superficie appena increspata la mamma che diceva se la guardi non bolle mai.
E in questa pentola si buttavano dentro certi spaghettoni lunghi e duri che bisognava tagliare a metà che si compravano in certi negozi che li tenevano in certi cassetti di legno aperti inclinati e c’era in quei negozi odore di spaghetti di citrato e di cassetti.
E dopo un po’ con la punta di una forchetta si tirava su uno spaghetto lungo e lucente e si assaggiava ma era sempre duro e bisognava aspettare ancora sicché si assaggiava di nuovo e di nuovo finché non assaggiavi più e lo spaghetto scuoceva se per esempio ci si metteva a parlare e si scherzava e bisognava essere in due ad alzare il pentolone a scolare la pasta a reggere lo scolapasta a farla saltare e l’insalatiera era bianca pesante enorme con lo strofinaccio intorno a portarla a tavola.
Ma non ricordo, non ricordo bene del sugo. Perché più spesso era burro certi tocchi di burro decisamente giallo prima che ci dicessero che era meglio no niente burro e sul burro il formaggio grattato un formaggio invecchiato e il pepe nero che faceva allegria preso dalla boccetta e non come si vede ora nelle pubblicità macinato in certi affari finto antichi.
Perché una volta il macinino era solo per il caffè e ci volevano ore prima di macinarlo con pazienza e si guardava attentamente la mamma che era serena e concentrata mentre lo faceva come quando stirava o quando avvolgeva gli involtini o quando passava il riso le lenticchie sul ripiano del tavolo.
E il macinino? Il macinino è lì, in alto, aspetta che te lo prendo.
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