La privacy e il digitale
Nuove norme per un reato antico
Lo sappiamo, oramai siamo tutti sotto una grande lente.
E’ possibile essere seguiti in ogni nostro movimento.
Se abbiamo un telefonino, e chi non ce l’ha, possiamo essere seguiti nelle nostre giornate passo dopo passo.
Le nostre conversazioni possono essere spiate e registrate.
Il monitoraggio su ciò che entra e che esce dal nostro indirizzo IP può rivelare i nostri gusti, le predilezioni in fatto di politica, di arte, di cultura.
E’ facilissimo sapere quanto abbiamo nel conto in banca e quanto preleviamo e versiamo. Per non parlare delle dichiarazioni dei redditi e dello stato patrimoniale.
Siamo costantemente esibiti. Possiamo esserlo. I nuovi strumenti che consentono ciò offrono una incredibile copertura ai moderni farabutti.
Se prima, infatti, tentennavano ad aprire una lettera o una busta altrui, nel rovistare nella cartella del marito o nella borsetta della moglie, ora la facilità del pigiare un tasto rende la cosa più sopportabile a se stessi.
Si vuole sapere facilmente per facilmente acquisire informazioni.
I nuovi mezzi rendono i reati di aspetto più frivolo e leggero, persi nel chiacchiericcio di chi pratica quotidianamente l’italico vezzo della pre – potenza.
Ma di reati si tratta e l’abitudine al reato è una china pericolosa.
La polizia informatica lavora ogni giorno sulle denuncie per violazione di privacy e non è difficile scoprire da quale punto della rete, in quale momento e con quale strumento, sia partita la lente.
Bisognerà abituarsi a convivere con questo male e chiedere leggi ancora più efficaci contro gli spioni informatici assimilabili moralmente agli spioni di antica memoria.
Oppure non curarsene affatto.
Fare come d’Annunzio e Petrarca, Facebook insegna: scrivere, telefonare, navigare, sapendo già che saremo “letti” anche da altri destinatari; fare trapelare solo quello che vogliamo si sappia di noi.
Il resto a voce, in casa.
giovedì 11 dicembre 2008
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