Brunetta il contratto e la recessione pensionistica
Presso la sede dell’Aran in via del Corso si sta definendo il nuovo contratto di lavoro della dirigenza ministeriale.
Non ci sono ancora numeri sicuri giacché potrebbero cambiare alcune variabili conseguenti alle richieste ed esigenze della dirigenza generale ( 387 unità in tutto il territorio nazionale, dato Aran) o di alcuni Ministeri.
In ogni modo bisognerà stringere la cinghia, come tutti del resto.
Gli aumenti saranno scarsi e questo è comprensibile dato il momento.
La pensione futura, e questo non è comprensibile, andrà, ci sembra, in gran diminuzione giacché la tendenza sarà quella di buttare gran parte delle risorse nella parte non, o poco, pensionabile della retribuzione il che, sommato alla Riforma pensionistica in corso ed alle varie leggine in itinere (passaggio dall’80% al 70% pensionabile, limite dei quarant’anni retributivi ) vorrà dire, fra qualche anno, pensioni in recessione che coesisteranno con le vigenti pensioni di coloro che sono andati in pensione appena poco tempo prima.
I giovani precari delle pubbliche amministrazioni con i loro versamenti non potranno certo garantire la vecchiaia degli statali e c’è il timore che alla loro pensione non pensi proprio nessuno.
Che livello di civiltà sarebbe quello di un Paese in cui, a parità di lavoro svolto e di anni contributivi, uno prendesse tremila euro di pensione e un altro meno della metà?
E, se si deve risparmiare, perché non partire da altre aree?
Perché non bacchettare quelle Regioni che soccombono sotto il peso dei Dirigenti generali e dei Capi dipartimento?
Sono solo nella dirigenza ministeriale gli sprechi?
E certo meglio prendersela con gli anonimi ministeriali che poco contano e poco si ribellano piuttosto che con i potentati periferici, vere e proprie lobby abituate a fare affari su tutto, anche sulla mondezza, e dunque potentissime, come la cronaca insegna.
venerdì 12 dicembre 2008
giovedì 11 dicembre 2008
La privacy e il digitale
Nuove norme per un reato antico
Lo sappiamo, oramai siamo tutti sotto una grande lente.
E’ possibile essere seguiti in ogni nostro movimento.
Se abbiamo un telefonino, e chi non ce l’ha, possiamo essere seguiti nelle nostre giornate passo dopo passo.
Le nostre conversazioni possono essere spiate e registrate.
Il monitoraggio su ciò che entra e che esce dal nostro indirizzo IP può rivelare i nostri gusti, le predilezioni in fatto di politica, di arte, di cultura.
E’ facilissimo sapere quanto abbiamo nel conto in banca e quanto preleviamo e versiamo. Per non parlare delle dichiarazioni dei redditi e dello stato patrimoniale.
Siamo costantemente esibiti. Possiamo esserlo. I nuovi strumenti che consentono ciò offrono una incredibile copertura ai moderni farabutti.
Se prima, infatti, tentennavano ad aprire una lettera o una busta altrui, nel rovistare nella cartella del marito o nella borsetta della moglie, ora la facilità del pigiare un tasto rende la cosa più sopportabile a se stessi.
Si vuole sapere facilmente per facilmente acquisire informazioni.
I nuovi mezzi rendono i reati di aspetto più frivolo e leggero, persi nel chiacchiericcio di chi pratica quotidianamente l’italico vezzo della pre – potenza.
Ma di reati si tratta e l’abitudine al reato è una china pericolosa.
La polizia informatica lavora ogni giorno sulle denuncie per violazione di privacy e non è difficile scoprire da quale punto della rete, in quale momento e con quale strumento, sia partita la lente.
Bisognerà abituarsi a convivere con questo male e chiedere leggi ancora più efficaci contro gli spioni informatici assimilabili moralmente agli spioni di antica memoria.
Oppure non curarsene affatto.
Fare come d’Annunzio e Petrarca, Facebook insegna: scrivere, telefonare, navigare, sapendo già che saremo “letti” anche da altri destinatari; fare trapelare solo quello che vogliamo si sappia di noi.
Il resto a voce, in casa.
Nuove norme per un reato antico
Lo sappiamo, oramai siamo tutti sotto una grande lente.
E’ possibile essere seguiti in ogni nostro movimento.
Se abbiamo un telefonino, e chi non ce l’ha, possiamo essere seguiti nelle nostre giornate passo dopo passo.
Le nostre conversazioni possono essere spiate e registrate.
Il monitoraggio su ciò che entra e che esce dal nostro indirizzo IP può rivelare i nostri gusti, le predilezioni in fatto di politica, di arte, di cultura.
E’ facilissimo sapere quanto abbiamo nel conto in banca e quanto preleviamo e versiamo. Per non parlare delle dichiarazioni dei redditi e dello stato patrimoniale.
Siamo costantemente esibiti. Possiamo esserlo. I nuovi strumenti che consentono ciò offrono una incredibile copertura ai moderni farabutti.
Se prima, infatti, tentennavano ad aprire una lettera o una busta altrui, nel rovistare nella cartella del marito o nella borsetta della moglie, ora la facilità del pigiare un tasto rende la cosa più sopportabile a se stessi.
Si vuole sapere facilmente per facilmente acquisire informazioni.
I nuovi mezzi rendono i reati di aspetto più frivolo e leggero, persi nel chiacchiericcio di chi pratica quotidianamente l’italico vezzo della pre – potenza.
Ma di reati si tratta e l’abitudine al reato è una china pericolosa.
La polizia informatica lavora ogni giorno sulle denuncie per violazione di privacy e non è difficile scoprire da quale punto della rete, in quale momento e con quale strumento, sia partita la lente.
Bisognerà abituarsi a convivere con questo male e chiedere leggi ancora più efficaci contro gli spioni informatici assimilabili moralmente agli spioni di antica memoria.
Oppure non curarsene affatto.
Fare come d’Annunzio e Petrarca, Facebook insegna: scrivere, telefonare, navigare, sapendo già che saremo “letti” anche da altri destinatari; fare trapelare solo quello che vogliamo si sappia di noi.
Il resto a voce, in casa.
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